Earle Brown

May, 2018
AMRN054-06C
CD Digipack
Price: 
12.50
Gianni Lenoci

”The earliest and still predominant influences on my conceptual attitude toward art were the works of Alexander Calder and Jackson Pollock ... the integral but unpredictable ‘floating’ variations of a mobile, and the contextual ‘rightness’ of the results of Pollock’s directness and spontaneity in relation to the materials and his particular image of the work…as a total space (of time).”  

Earle Brown’s influence on the avant-garde community has been philosophical as well as tangible and practical. His conducting techniques and experiments with “time notation,” improvisation, and open-form compositional structure have become part of contemporary compositional usage. His musical friendships were legendary, from Bruno Maderna, who conducted first performances of many of Brown’s works, to jazz musicians such as Zoot Sims and Gerry Mulligan.

The sixth volume of Amirani Contemporary is dedicated to Earle Brown’ s music.
Here Gianni Lenoci leads us along the Brown’s milestones path. His interpretation delivers an intimate light to composer’s sound consistencies, to his vibrating silences, to his floating voicings with a magic intensity.

Recording made possible by a grant from The Earle Brown Music Foundation,  http://www.earle-brown.org , here is a great release that comes with a booklet including excerpts from Brown’s preparatory notes, from his “Some notes on composing”, Home Burial text by Robert Frost and “Listening” a liner signed by Emeritus Professor of Philosophy Language (Bari University) Augusto Ponzio.

Reviews

The New Noise
Francesco Cusa

Non ho mai sopportato le analisi tecnico-formali di un’opera, men che meno quelle relative a un’opera musicale. Fissarne i punti, sceverarne e sezionarne le parti, mi è sempre parso un atto chirurgico da tavolo anatomico rispetto a ciò che è viceversa sempre vivo e pulsante. Per l’uomo antico smembrare gli arti di un animale rappresentava un atto sacrilego, orribile ed empio che occorreva sublimare tramite l’iniziazione funzionale al sacrificio (anche il normale pasto era considerato sacrale). Ciò lo debbo ancora di più alla memoria di Gianni Lenoci che del processo esoterico in arte era cantore.

Questo mio scritto sarà dunque una sorta di processo affine a quello della “scrittura automatica” (non letteralmente, in senso surrealistico: utilizzo questa definizione di comodo per indicare che è un processo determinato dalle musiche in ascolto) e seguirà il flusso sonoro di tre cd che vedono Gianni Lenoci al piano in solo: Earl Brown “Select Works for Piano and/or Sound Producting Media”, Morton Feldman “For Bunita Marcus”, Sylvano Bussotti: “Brutto, Ignudo” (qui in duo col clarinettista Rocco Parisi), tutti editi dalla Amirani Records di Gianni Mimmo.

Procedo con l’ascolto e la scrittura.

Ascolto questi lavori di Gianni Lenoci in ordine sparso, non sistematico. Salto da un cd all’altro per cercare di cogliere impreparato me stesso, in modo da non lasciar sedimentare lo svolgimento “logico” della fruizione. Emergono vari elementi dal suo ricercato pianismo; uno su tutti, l’inconfondibile matrice del suo suono, figlia di quel tocco da “ladro di portafogli” che lo contraddistingueva, rapidissimo e limpido. Il piano pare essere suonato da mani elfiche, e produce un suono che non “libera” ma tiene avvinti al disegno di un gesto che possiamo intuire anche solo dall’ascolto. A suonare è un mancato danzatore (si ascolti la sua interpretazione della “Novelletta Per Pianoforte” di Bussotti); altrove ho definito Gianni Lenoci un coreografo stanco di danzare, ma che si attivava all’improvviso tramite i suoi scatti espressivi che rimandavano a una sorta di elettricità dello spasmo che tante volte ho anche ritrovato durante i nostri concerti. La “riscrittura” delle partiture suonate nei cd rende fruibile tutta l’originalità dell’arte di Lenoci, come evidenziato dalle stesse note di copertina di quello sulla musica di Earl Brown da parte di Augusto Ponzio: “… si può dire tutto quello che abbiamo detto fin qui (…) con la musica stessa, con la scrittura musicale stessa, come riscrittura che sia, di nuovo questa musica, inedita, inaudita, nuova partitura all’ascolto coinvolgente fuori dai ruoli stabiliti e dai luoghi comuni? Sì, con Gianni Lenoci”. Ecco, io lo definirei, mentre ascolto nella notte “December” di Earl Brown, un musicista “impossibile”, perché, per queste atmosfere nebbiose e tetre evocate dal pezzo, par di vedere volteggiare le spire dei suoi infiniti arti e delle sue lunghissime mani… le sento avvolgere l’intera volta della mia stanza sotto forma di entità gassosa. Riferisco di una sensazione fisica di questo fenomeno, fortemente tangibile, richiamata dal potere esoterico ed evocativo della musica, della “sua” musica, che si fa spazio, suadenza e trillo demoniaco, a seconda delle necessità del tempo e degli istanti irripetibili che compongono l’esistenza.

Il pianismo di Gianni Lenoci è “interno” che si fa “esterno”, immanenza che riempie ciò che non è colmabile (ascolto “Twenty-Five Pages”), vuoto che s’addensa nel gioco di prestigio delle falangi, “ontologia del martelletto”. Egli usa l’intero spettro delle potenzialità esperibili dello strumento per affermare una “verità”, officiando, per tramite del gesto pianistico, il sacrificio di ogni singola nota. Nell’atto del suonare, Lenoci viene meno al decoro della sua forma: dismette allegoricamente il suo abito sociale per trasformare la sua fisicità terrena in pura essenza (ascolto ancora una volta “December”), in altre parole, egli diventa sacerdote del Divino e sposa appieno la sua natura spirituale, conferendo sacralità al “mestiere” dell’artista.

È facile, anche per un orecchio profano che abbia la ventura di accostarsi a queste interpretazioni dell’opera dei tre compositori su citati, constatare quanto il microcosmo di Lenoci sia espressione di una trascendenza prodotta artificialmente dalla matericità dell’esistenza, perché ogni rimando è all’altrove, a ciò che non è esprimibile con gli strumenti della tecnica (ascolto Music for “Trio for Five Dancers”). E sembra di vederli questi danzatori sonori, come forme eteriche e viventi che provvedono a modellare in qualità di piccoli kabiri la Donna-Cicogna che “l’Eumolpo” Lenoci evoca tramite il suo processo di indefessa creazione. Queste proprietà del demiurgo sono raramente presenti in tali dosi nella singola esistenza di un’artista. Intendo far con ciò riferimento alla densità che era in grado di generare la poetica espressiva di Lenoci, densità particolarmente riscontrabile in queste tre opere e che è frutto del suo approccio diretto allo strumento, che risultava magnetico, ma mai ossessivo (Lenoci non deve domare la belva-pianoforte, perché essa è promanazione del suo corpo, vive e si nutre della sue stesse brame e passioni).

Ma è soprattutto con “For Bunita Marcus” che sento emergere la sideralità del Tremendo come scarto e quintessenza di vibrazione, proprio nei silenzi, nelle pause fra una nota e l’altra, in ciò che rimane dopo un accordo, in tutto ciò che preme e deborda fuori dalla palingenesi del suono. Le note di Gianni Lenoci descrivono un universo possibile e antropomorfo in un contesto alieno, inconcepibile e astratto. Si impone, in questa sua capacità di reinterpretazione-traduzione delle opere trattate, il superamento del contesto storico e progettuale in cui tali componimenti sono storicamente collocati. Lenoci reinventa quelle partiture, sottraendole perfino ai riferimenti all’arte visiva d’un Rothko e ai suoi “aneliti d’infinito”, a tutto ciò che rappresenta quel circolo di musicisti che si formò intorno a John Cage verso la fine degli anni Quaranta (Earle Brown, Morton Feldman, David Tudor e Christian Wolff), all’astrattismo… per farne altro, una specie di sostanza sonora straniante che ci parla di quanto effimero sia questo ritaglio di non-Tutto dal Tutto. Il mondo sonoro che ci lascia Gianni Lenoci è quello di un pianeta che si è oramai dissolto nella sua essenza gassosa dopo milioni e milioni di anni. Un luogo dove altre entità lavorano per costruire un nuovo senso, la nuova era di Vulcano, era in cui l’uomo sarà soltanto pura essenza di sacralità.

(Gianni Lenoci non c’è più… si aprono gli spazi del sonoro di “For Bonita Marcus” al suo percorso spirituale che lo porterà verso i più alti mondi dello Spirito. Spengo il lettore cd).

Cadence
Bill Donaldson

Though born in Massachusetts and remaining a life-long United States resident, Earle Brown, a member of the New York School of music, is studied and remains venerated more in Europe than in his native country. As if as proof, in 2017 the archive of Earle Brown’s work moved from the U.S. to Basel, Switzerland, where it’s managed by the Paul Sacher Foundation. Consistent with enduring European interest in Brown’s innovations and his importance in avant-garde music, Italian jazz musician Gianni Lenoci has recorded on solo acoustic piano nine interpretations of Brown’s most famous compositions and one, “4 Systems,” electronically. Lenoci had no choice but to interpret Brown’s works, rather than to read them. Famously, Brown not only allowed, but required, that the performer make the decisions about how his music would be played. Brown’s innate comprehension of mathematics led to his engineering studies at Northeastern University. A trumpet player in high school, Brown advanced his interest in improvisation when he was a member, along with Zoot Sims, of the U.S. Army Air Corps base band at Randolph Field in Texas. At the suggestion of another soldier, Brown studied the Joseph Schillinger method of composition for four years, and he eventually developed the unlikely synthesis of mathematical concepts with open-form abstraction. Influenced by abstract impressionists like Jackson Pollack, Brown created the musical equivalent of Alexander Calder’s suspended sculptures that change shapes and perspectives as they float randomly, attaining intended evanescence, rarely returning to the same exact image. Accordingly, Brown wrote some of his works in modules so that the performer could choose the order of interchangeable performance pieces. The last track of Earle Brown: Selected Works for Piano and/or Sound-Producing Media, in fact, is Brown’s first open-form piece. “Twenty-Five Pages” was written on 25 loose pages for as few as one, or for as many as 25, pianists---and, so that the pianist(s) could play the notations forward or backward or upside-down. Lenoci is the one pianist on this album who stamps his own identity on Brown’s famous composition. In Lenoci’s hands, “Twenty-Five Pages” sonically appears as kaleidoscopically shifting impressions, rhythmless, at times dissonant, and possibly conversational between clusters and haunting notes of treble and bass extremes. Appropriately, Lenoci’s track is precisely 25 minutes long. The album starts with Brown’s first work from 1949 based on a Robert Frost poem, “Home Burial.” Written for piano, “Home Burial” consists of Brown’s musical impressions of the narrative short-story-like poem about sorrow, anger, loneliness and evil. Lenoci interprets the composition with sudden accents (of heartbreak at the loss of a child?) and quiet moments of calm reflection, only to flare again, throughout a conversation between two grief-stricken adults. What’s revealing are how often avant-garde music of this type is recorded now and how unobjectionable Brown’s works without melody or rhythm sound today. Brown’s influence grew when he produced his master work, Folio, in 1952 and 1953. Folio attains immediacy of interpretation through Brown’s individualistic style of graphical notation influenced by Schillinger, but also by his studies of music before the development of the current traditional style of notation. Brown’s compositions consisted of symbols, rather than stemmed notes, to indicate the proportional lengths of rhythms and their interrelationships to other notes. Folio’s dynamically in- the-moment readings are as various as the musicians who perform its movements. No two performances of gliding movements have ever been the same, as Brown intended. With hushed legato presses of keys and episodic quick sparks dramatized by sometimes intervening moments of silent stasis, Lenoci plays seven of the components of Folio. Each contrasts with and is as varied from the other movements as Brown’s graphical notations and Lenoci’s performances create. His floating modules having been developed before the advent of actual space exploration, Brown’s goal was to suggest the universe of possibilities as vast as space itself. He thought of his works in three-dimensional, constantly evolving terms that inspire wonder and that require musicians’ own alert innovations. Seventy years ahead of his time, Brown created new forms of expression that exploratory musicians like John Zorn value. Those forms are being rediscovered by a successive generation searching for unconventional, unrestricted sonic adventures. As is Lenoci.

Kfjc
Lexi Glass

Gianni Lenoci is an Italian pianist who tackles the challenging compositions of modern experimental composers. Here, he performs the works of Earle Brown (1926-2002), a composer that was a member of John Cage’s New York School, along with Christian Wolff, Morton Feldman and others. Brown was influenced by Cage’s philosophy of “non-intention” but also drew inspiration from the visual arts, especially the sculptures of Alexander Calder. Like Calder’s mobiles, Brown’s pieces consist of isolated forms – staccato blips or long presses of the piano keys – floating gently, unpredictably through time. Further, Brown’s scores were graphical, works of art themselves, with pitches and durations of notes written as bars of varying lengths and thicknesses (see one on the cover). All tracks are played on piano except for “4 Systems January 1954” (T9) that Lenoci interprets with electronics. More information – biographies of the composer and performer, a strange screed on the act of listening written by a philosopher of language, and the text to Robert Frost’s sorrowful poem “Home Burial” that inspired the first track on the album – can be found in the liner notes.

Kathodik
Alessandro Bertinetto

Accompagnato da un elegantissimo booklet ricco di testi (tra cui una nota del filosofo del linguaggio Augusto Ponzio, poesie di Robert Frost e alcune note di composizione), l’album ci offre un’interpretazione pregevole di quattro opere del grande compositore americano Earle BrownHome Burial (1949), Folio (1952/3), 4 Systems (1954) e Twenty-Five Pages. Quella di Brown è sofisticata musica indeterminata e costituisce il corrispondente sonoro dell’espressionismo astratto di Pollock. L’idea è quella di basare l’opera musicale non su uno sviluppo predeterminato, ma sulle “immediate and spontaneous responses that occur to the conductors in relation to the composed basic material – the ‘events’ – and to the unique qualities of the conductors and the condition of each performance” (dalle note del compositore): per capire intuitivamente che cosa ciò davvero significhi, si ascolti in particolare l’ultima lunga traccia del disco. Gianni Lenoci esegue (con il pianoforte e l’elettronica) le pagine del maestro statunitense restituendocene il fascino, la freschezza e la bellezza ed è un’atmosfera di eccitante sospensione quella in cui l’ascoltatore si immerge anche grazie al sound nitido e rotondo che i tecnici del suono sono riusciti a produrre per questo album.

L'Isola che non c'era
Alberto Bazzurro

Anche nel jazz – non da oggi, del resto – si vanno moltiplicando gli album monografici dedicati ad artisti estranei al suo specifico. Un pianista di ampi appetiti come il pugliese Gianni Lenoci (foto sopra) ha per esempio pubblicato per Amirani un cd di Selected Works totalmente centrato sul compositore classico-contemporaneo Earle Brown(1926/2002), che peraltro dal jazz era partito per poi convertirsi al modello-Cage. Vi trovano posto dieci pagine degli anni Cinquanta da cui traspare l’indulgere verso un minimalismo anche insistito, astratto, non senza aperture più dense, acuminate, e il periodico intrufolarsi dell’elettronica. Lavoro di fascino e rigore. 

Sands Zine
Mario Biserni

Felice e ben congegnata. E pure ardita. Così appare la scelta di dedicare una fetta del catalogo Amirani Records a una collana riservata ai maestri della musica contemporanea. L’occasione è oggi doppiamente ghiotta, perché l’opzione verte su Earle Brown, probabilmente l’autore meno conosciuto nel novero di quel gruppo che comprendeva altresì John Cage, Christian Wolff e Morton Feldman. L’esecutore è in pari misura d’eccezione, trattandosi del pianista Gianni Lenoci che su Amirani si era già misurato con le partiture di Morton Feldman e John Cage (“For Bunita Marcus” - Amirani Contemporary 02-C e “cagExperience” - Amirani Contemporary 03-C).
Ho poco da aggiungere su un musicista storicizzato, sulla cui figura e sulla cui importanza il lettore potrà trovare notizie a iosa, finirei con il ripetere quanto già scritto da altri.
Altrettanto accadrebbe se mi addentrassi nel profilo di Lenoci, improvvisatore ben conosciuto da chi segue il catalogo Amirani e, ancor più, da chi segue la musica improvvisata Made in Italy.
Il CD è d'altronde confezionato splendidamente e riporta i ritratti dettagliati dei protagonisti.
Mi soffermo perciò brevemente sui motivi di maggior interesse della pubblicazione. Innanzitutto l’impegno del pianista in un ambito che sembrerebbe non appartenergli può portare due tipologie di pubblico ad avvicinarsi e confondersi su un terreno che, a questo punto, appare comune. Le doti interpretative di Lenoci, seppur note, vengono qui messe ulteriormente in risalto, a smentita di quel pubblico ancora convinto che chi fa musica improvvisata non sarebbe in grado di esprimersi in altri ambiti. Infine c’è una musica che, pur appartenendo al passato, appare sempre presente, quando non addirittura proiettata nel futuro. E non mi riferisco solo a brani come 4 Systems: January 1954, resa straniante dall’utilizzo di effetti elettronici, ma anche a una Home Burial che gli influssi chopiniani sembrerebbero viceversa trascinare indietro nel tempo.
Insomma, un triplo plauso a Gianni Mimmo e alla sua Amirani, ché pubblicazioni simili sono impagabili.

Avant Music News
Daniel Barbiero

Relative to his New York School associates John Cage and Morton Feldman, Earle Brown (1926-2002) tends to be overlooked both as a composer and as someone who helped reimagine the relationship between composition and performance. But his work with graphic and indeterminate scores, composed in the 1950s, helped define a concept of composition as an open-ended—he liked to use the word “mobile”—process consisting in the dynamic exchange of creative energy between composer and performer. Brown described these scores, exemplified by the FOLIO collection, as “ambiguous but implicitly inclusive” systems which, with the active participation of the performer, would stimulate an engagement with sound through its multiple parameters. Beyond their capacity to elicit a highly creative response from the performer, Brown’s graphic scores—the single-page December 1952 best known among them—are elegant, and elegantly spare, works of visual art in their own right.

The Pugliese pianist Gianni Lenoci has had an interest in Brown’s work for at least a decade, having obtained from the Earle Brown Foundation some scores for study. Like other performers before him, Lenoci, active in jazz and improvised music, was attracted to Brown’s work at least in part because of Brown’s own background as an improvising jazz trumpeter. Unlike a composer like Cage, who long denied the role of improvisation in the interpretation of his own indeterminate scores, Brown fully acknowledged that improvisation was the latent content implicit in his graphic and modular work. Lenoci’s Selected Works for Piano and/or Sound-Producing Media, the recording of which was supported by a grant from the Earle Brown Music Foundation, presents the pianist’s realizations of ten of Brown’s compositions.

Lenoci’s piano performances are exquisite—hearing them, one can imagine sound as the material crystallization of time. The pieces from FOLIO treat sound as consisting in a collection of quanta–a series of brief, discrete points in time defined by their sudden eruption, limited duration, and inevitable dissipation. Moving through the FOLIO sequence these events gradually become longer in phrasing or simply hang in the air, blending into one another—helped, in the case of December 1957 52, by an electronic delay or loop. In contrast to these piano performances, Lenoci’s interpretation of Four Systems is a thicker-textured thing–all electronic scuff and rush. The closing piece, Twenty-Five Pages, is a shimmering kaleidoscope of pianism that never loses momentum throughout its entire twenty-five minute length.

Vinylmine

Ο 55χρονος Gianni Lenoci είναι ένας από τους πιο σημαντικούς, σημερινούς, ιταλούς πιανίστες-αυτοσχεδιαστές. Είναι δε, φρονώ, γνωστός και στην Ελλάδα, αφού έχει συνεργαστεί σε παραστάσεις και στη δισκογραφία με τον Σάκη Παπαδημητρίου και την Γεωργία Συλλαίου (άκου, ας πούμε, το “Nosferatu a Monopoli” από το 2005), όπως και με την ελληνική Plus’ n’ Minus Collective Orchestra στο πλαίσιο των 49ων Δημητρίων, στη Θεσσαλονίκη, το 2014. Έχουμε γράψει κι άλλες φορές στο δισκορυχείον για δίσκους τού Lenoci στην Amirani, είτε για προσωπικούς του (“Morton Feldman: for Bunita Marcus 1985”), είτε για συνεργασίες του με άλλους μουσικούς ή γκρουπ – δες κείμενα για το “Wet Cats” (2017) με τον ντράμερ FrancescoCusa ή για τα άλμπουμ των Reciprocal Uncles. Στο πιο πρόσφατο CD του στη γνωστή μας ιταλική jazz-improv-avant εταιρεία, ο Lenoci αποτείνει φόρο τιμής σε μια μεγάλη μορφή της αμερικανικής πρωτοπορίας (του 20ου αιώνα φυσικά), τον συνθέτη Earle Brown (1926-2002).

Percorsi Musicali
Ettore Garzia

Tra il '76 e il '78 Nelson Goodman scrisse due libri fondamentali di filosofia e teorizzazione di un sistema dei simboli (Languages of art e Ways of worldmaking), che portavano a compimento quel costruttivismo interpretativo che aveva raggiunto anche la musica più di un ventennio prima, tramite il giro dei compositori newyorchesi. In particolare Goodman insinuava l'idea che non esistesse un'unica realtà a cui dobbiamo dare conto, bensì plurime manifestazioni di esse a seconda dello schema concettuale a cui ci riferiamo: un uomo può essere considerato secondo la sua struttura cellulare, secondo la sua posizione sociale o per le sue particolari qualità, e la nostra variabile interpretazione non solo non ammette il predominio valutativo di una "versione" rispetto ad un'altra, ma è passibile di essere misurata con tanti mezzi (posso usare la descrizione verbale, i numeri e la geometria, posso disegnarla o anche suonarla). Di tale complessità ne fece lezione anche Earle Brown (1926-2002) nel momento in cui capì che sarebbe stato necessario liberare la partitura dalle convenzioni, attraverso un sistema compositivo di segni, che rimettesse nelle mani dell'esecutore un compito importantissimo: poter scegliere l'ordine di esecuzione degli eventi, poter determinare che tipo di flessibilità vuole utilizzare e soprattutto, dover far scaturire un mondo musicale sulla base di una traduzione della grafica che, nel caso di Brown, spesso prevede solo una serie di linee orizzontali o verticali dotate di una lunghezza o spessore variabile, di un'indicazione di intensità e di un tempo di relazione. Senza addentrarci nelle incredibili implicazioni che questo ragionamento può portare (Brown invitava a trovare addirittura una seconda o terza dimensione della partitura), ciò che è semplice intuire è che la logica deduttiva ci impone di pensare a grandi interpreti, abituati anche all'improvvisazione e capaci di ottenere in modo proficuo questi difficoltosi risultati: appartiene ad essi anche il pianista Gianni Lenoci, che in una pubblicazione Amirani formalizza il suo lavoro per l'americano con una sua selezione riconosciuta; si tratta di una registrazione che era stata paventata nel marzo 2016, dopo che Lenoci aveva ricevuto il Grant Program dalla Earle Brown Music Foundation. Grazie a Donatello Tateo, Lenoci ci rilasciò un'intervista specifica, in cui sottolineava motivazioni e progettualità del suo interesse verso Brown, ricomponendo collegamenti interessantissimi con Bach (puoi leggerla qui)

Selected works for piano and/or Sound-Producing Media contiene la prima composizione dell'americano del 1949 collegata a Frost, dal titolo Home Burial, in cui serpeggia ancora una personalissima impronta seriale, parametrata però su affascinanti gruppi ritmici; contiene gli otti temi di Folio (1952-53), pezzi in cui si può cominciare a fare la conoscenza di quanto detto prima a proposito della partitura, con notazioni designate per "...incoraggiare la "mobilità" concettuale nell'approccio dell'esecutore alla partitura..."; poi January 1954 dai 4 Systems e gli immancabili Twenty-five pages. Va da sè che Lenoci si misura in un repertorio che è stato calcato da splendidi esecutori in passato ed è dall'ascolto comparato con essi che si può ricavare un'informazione aggiuntiva. 

Quanto a Home Burial, la versione di Lenoci si affianca a quella di Sabine Liebner (che si può trovare in un cd per la Wergo dal titolo Abstract sound object) contenendo in comune quella "macchia" armonico-espressiva che probabilmente ha stimolato l'interesse di Lenoci per Brown; per quanto riguarda Folio, bisogna tener presente che Brown aveva previsto variabilità nella strumentazione e nelle durate: ciò significa che, mettendo da parte le versioni non per piano solo, ci si ritrova con le interpretazioni "velocissime" e piene di contrasto di David Arden, l'impostazione estensiva della December 52 di David Tudor e le accresciute dinamiche profuse da Michael Daugherty con l'ausilio di nastro e computer, per finire al ciclo completo della Liebner, dotato di maggiori lunghezze di tempo e di un allungamento atto a mettere in evidenza risonanze e silenzi; la versione di Lenoci calca sul misterioso, proietta molte sensazioni, lavorando su una causalità meravigliosamente costruita con cellule sonore che si perdono nello spazio d'ascolto: il culmine è December 1957 52, architettata tutta sulla valenza emotiva grazie ad un continuum sonoro fatto di cadenze calibrate in note fuori controllo, effetti estensivi ed inserzioni radiofoniche. 4 Systems ha analogie con la versione di Daugherty, ma qui il piano è completamente bandito da una aggiornatissima e seria trance di elettronica; per Twenty-five pieces Gianni deve competere con le versioni di Steffen Schleiermacher, Rzewski e Tudor, ma almeno per durata è a quella della Liebner che si avvicina con una estensione di 25 minuti, distanziandosene però completamente per altri elementi: nel rispetto dell'identità compositiva fornita da Brown (un contenuto sonoro fisso anche se flessibile), Lenoci si approccia per una digressione dinamica, una cascata di note scomposte, in arpeggio irregolare, sprovviste del tempo naturale. Quella di Lenoci è senza dubbio la migliore versione che io abbia ascoltato, penso ne sarebbe stato contento persino Brown.

Con Twenty-five pieces Brown si congiunge compiutamente con i mobiles di Calder e gli istinti creativi di Pollock: grafici prossimi all'immagine ed un patto suggestivo ed ambiguo con gli esecutori. Tra Webern e Cage, Brown si presta dunque ad un'attività di esplorazione che può essere ancora portata più in avanti ed è forse questo il messaggio che questo splendido cd di Lenoci vuole rappresentare.

Music Zoom
Vittorio

Il compositore americano Earle Brown è fra le figure più importanti dell’avanguardia, negli anni ’50 incontrò John Cage che lo convinse a trasferirsi dal Massachusetts a New York. Qui incontrò colleghi come Morton Feldman, David Tudor e Christian Wolff e tutti gli altri artisti che sono da iscrivere nella New York School, poeti, pittori, ballerini, musicisti americani attivi tra gli anni cinquanta e sessanta. La sua ispirazione non arriva solo dai colleghi musicisti, fra i suoi artisti preferiti cita due esponenti delle arti figurative come Jackson Pollock e Alexander Calder, fra i suoi amici ci sono sassofonisti jazz come Zoot Sims e Gerry Mulligan insieme ai compositori Pierre Boulez e Bruno Maderna. La Amirani Records pubblica ora una selezione delle sue opere per pianoforte e insieme a 4 Systems January 1954 in cui si usano effetti elettronici. Come esecutore è presente l’esperto Gianni Lenoci, a suo agio sia cone le partiture aleatorie che con l’improvvisazione. Sono brani per lo più brevi, minimalisti, ad eccezione dei nove minuti di December 1957 52, il suo brano più noto, e del finale Twenty-Five Pages che anche nell’esecuzione, venticinque minuti, conferma il titolo. Non resta che farsi sedurre dalla proposta del compositore americano, spesso più apprezzato in Europa che in patria, per la sua musica così speciale che pur sfuggendo ai concetti di armonia e melodia si presenta con una sua candida bellezza.

Credits: 

Gianni Lenoci _Piano and Electronics

Recording _ March 29, 2016, Wave-Ahead Studio, Monopoli, Italy
Sound Engineer & mastering _  Mimmo Galizia
Liner notes _ Augusto Ponzio
Poem _ Home Burial by Robert Frost
Gianni Lenoci photo _ Niky Tauro
Graphics _ Nicola Guazzaloca
Production _ Gianni Mimmo for Amirani Records

This recording was made possible by a grant from the Earle Brown Music Foundation (USA)