A Few Steps Beyond

January, 2021
AMRN065
CD Digipack
Price: 
12.50
Gianni Lenoci

ITALIANO
Come sfogliando un “libro dei giorni”.
Qualche luce più abbagliante in certe pagine, percorse in profondità.
Un’ultima rivelazione, per certi versi assoluta, prima che il tempo curvasse qualche passo oltre.

Questa musica che resta, catturata da un piccolo registratore sistemato sotto il pianoforte nel suo ultimo concerto, tenutosi nel Settembre 2019 al Talos Festival di Ruvo di Puglia, ci consegna un pantheon di figure limpide che Gianni Lenoci dispone drammaturgicamente come a tracciare costellazioni. Una cartografia ricchissima, una mappa per perdersi, consultabile da più prospettive.

Attraverso una maturità in grado di percorrere consapevolmente lo spazio sonoro, di dilatarne i pesi drammatici, di trasfigurarne i temi, ogni singolo brano di questo live ha una dimensione plastica chiaramente visibile.
Una narrazione articolata, sovente ineffabile, condotta come in un definitivo mesmerismo.

Una delle costanti dell’estetica di Gianni è costituita dalla straordinaria attitudine ad esercitare contemporaneamente sguardo globale e particolare, a trovare una possibilità di coesistenza fra piani sonori lontani. Un percorso spesso perpendicolare, volto a portare alla luce stratificazioni e ambiti espressivi distanti.

Qui il percorso fra alcune delle sue luci ispirative: Ornette, Paul e Carla Bley, temi classici sublimati in penombre noir, squarci contemplativi e vertiginose articolazioni, inaspettate diversioni.
Mano felicissima, qualche ombra nel cuore, la fragranza della musica di Gianni, la profonda aderenza al proprio sentiero, trovano in questo live una piena dimensione, brillante e, al tempo stesso, inesorabile.

Petali che abbandonano il fiore, mossi da un vento leggero.
Qualche passo oltre, dicevo.

 

ENGLISH
Just like browsing through a ‘book of the days’.
A little, more dazzling light in certain pages perused in depth.
One last, to some extent absolute revelation before time curved a few steps beyond.

This enduring music captured by the small recorder placed under the piano during his last concert held at the Talos Festival in Ruvo di Puglia in September 2019 hands over a pantheon of pristine figures that Gianni Lenoci displays as a playwright tracing constellations.
The richest cartography, the map you can consult from so many perspectives and lose your way.

Due to the maturity which can travel consciously through the expanse of sound extending drammatic prominence, and transfiguring themes every single piece from this live performance possesses clearly visible multi-dimensional characterisics.
Often ineffable, articulate narrative led forth as in a sort of ultimate mesmerism.

One of the constants in Gianni’s aesthetics is represented by his extraordinary aptitude to exert his wide-range and his specific insight simultaneously, and to find the possible coexistence between far-off levels of sound. At times a perpendicular route, meant to reveal stratification and distant meaningful settings.

Here goes his journey along with some of his inspirational guiding lights: Ornette, Paul and Carla Bley; classical themes exalted in noir semi-darkness, meditative glimpses and vertiginous articulation, or unexpected diversion.

Blessed hands, a few dark shadows in his heart, the fragrance of Gianni’s music and its profound adherence to his chosen path have found their full dimension – brilliant and relentless at the same time – in this live recording.

Petals abandoning a flower ruffled by a soft wind.
A few steps beyond – as I was saying.

Gianni Mimmo
Pavia, Oct. 2020

Reviews

Jazzword
Ken Waxman

Sadly Gianni Lenoci died at 56 in September 2019, a little more than three weeks after this festival recording.

It’s tempting to read an augury into the slow paced echoing pumps Lenoci brings to his version of “Goodbye”, the CD’s penultimate track. But his capacity for interpolating adept timbral augmentation without abandoning the melody is better showcased on his extended versions of the other tracks. He stretches “All the Things You Are” so that bottom board echoes and jagged near tack-piano emphasis recast the familiar tune so that it appears to express simultaneously the familiar narrative and contrfacts of itself. Related to someone with whom he studied, his version of Paul Bley’s “Blues Waltz” subtracts the waltz substituting a jangling Country Blues-like primitivism. Vibrating the piano’s actions at its height he plinks keys and snaps strings and quotes “Camptown Races”. Yet in the turnaround he retains the piece’s innate Blues feeling, expressing swing as he breaks up the narrative. Perhaps inadvertently burnishing his own legacy he lets out all the stops during the almost 16½ minutes of Carla Bley’s “Ida Lupino”. With the melody appearing, reappearing and reprised throughout, be builds a countermelody with metallic sweeps, percussive key slapping as well as teases and tickles in the piano’s highest register. Accenting what he wishes, his theme variations with single key clip or glissandi are complementary as well as contrasting.

A final statement and a mid-career application, the disc is worthy of examination and more proof of the piano – and an artist’s – flexibility.

Sands Zine
Mario Biserni

Scrivere che il pianista Gianni Lenoci (6 Giugno 1963 – 30 Settembre 2019) è stato un grandissimo jazzista è tanto vero quanto riduttivo. «Sono un musicista, non un jazzista», ebbe a dire Anthony Braxton, ma non ci sarebbe affatto bisogno di citare (a memoria) questo assunto teorico del sassofonista chicagoano, basta viaggiare più terra-terra per ravvisare che Lenoci, pur suonando prevalentemente jazz, non si è mai chiuso dentro la sua stanza ma ha sempre guardato oltre, fuori dalle finestre, e ancora più in là, oltre l’orizzonte. Esempi concreti in un tributo alla musica di David Bowie e nell’attenzione verso artisti contemporanei e classici come Earle Brown, Morton Feldman, john Cage, Bach, Schoenberg ….
Queste registrazioni in concerto che risalgono al 4 Settembre del 2019, quindi a meno di un mese dalla sua scomparsa, hanno tutto l’aspetto di essere le sue ultime effettuate, quindi si tratta del suo testamento sonoro oltreché di un commovente saluto d'addio al suo pubblico, e di ogni saluto d'addio racchiude l'intensità. Chiaramente un addio non definitivo perché, religiosi o non religiosi che siate, è chiaro come in questo caso lo spirito dell’uomo continui a vivere oltre la morte della carne.
Sì, lo spirito di Lenoci sopravvive e continuerà a vivere nella sua musica.
La scaletta, nell’occasione, è legata soprattutto al jazz contemporaneo, attraverso la ripresa di brani composti da musicisti del calibro di Ornette Coleman, Paul e Carla Bley. Ma, nuovamente, il pianista pugliese da prova di scarsa ortodossia ripescando anche dal repertorio di due autori sicuramente estranei al jazz contemporaneo, Jerome Kern e Gordon Jenkins, attraverso superbe versioni di due standard immortali della musica popolare (All The Things You Are del 1939 e Goodbye del 1935).
Le sei interpretazioni di Lenoci brillano tutte per il tocco personale e la forza inventiva, con lo strumentista che smonta e rimonta i brani a suo piacere e senza intoppi, ma la versione da brividi di Ida Lupino basterebbe da sola a rendere indispensabile l’acquisto di “A Few Steps Beyond”.
Gianni Lenoci è stato, e rimane, un autentico GIGANTE.
L’ascolto di questo disco è semplicemente un dovere nei suoi confronti. 

Kathodik
Alessandro Bertinetto

La partecipazione al Talos festival del settembre 2019 (organizzato nella Pinacoteca d’Arte Moderna a Ruvo di Puglia) era destinata ad offrire l’addio musicale di Gianni Lenoci. Il suo concerto, bellissimo, è registrato in questo album che ci consegna il testamento artistico di un grande musicista, troppo presto scomparso. Un percorso attraverso celebri standard del jazz – Lorraine di Ornette ColemanAll the Things You Are di Jerome KernBlues Waltz Ida Lupino di Carla BleyGoodbye di Gordon Jenkins e per finire Latin Geneticsancora Coleman – che vengono rivisitati, personalizzati, assorbiti e restituiti attraverso l’espressione autentica di un pianista capace di proporre a un tempo ampi squarci d’insieme e precisa e puntuale attenzione al particolare. Il modo in cui il celeberrimo standard di Kern è smontato sfasandone le battute e usandolo come materiale creativo e poi, senza soluzione di continuità, rimontato giocando sulla tensione prolungata tra le scorribande della mano sinistra e la pulsazione insistita degli accordi della mano destra è magistrale. Ma è solo uno dei tanti esempi del genio di un maestro, appunto, capace di inventare l’interpretazione esplorando le pagine di Earle Brown o Bach e di costruire l’improvvisazione attraverso i materiali adottati. Cecyl Taylor emerge anche dal blues di Carla Bley, ma è soprattutto Gianni Lenoci a lasciare il suo marchio artistico gentile e profondo in queste note. L’addio, con il brano di Jenkins, è, manco a dirlo, commovente. L’intensità e l’espressività blues ci raccoglie in un’intima esplorazione della bellezza sublime di un’anima artistica vera. Che poi, come per sdrammatizzare, si scioglie nella serenità gioiosa e latina del tema di Coleman, subito complicata ed estesa in rapide e nervose scale, che ritornano finalmente a riposarsi sulla melodia ondeggiante d’apertura. Finale secco. Applauso. Sipario.

All About Jazz
Neri Pollastri

Il 4 settembre 2019, il giorno prima di entrare in ospedale per la delicata operazione dalla quale non si risolleverà, Lenoci tiene il suo ultimo concerto, al Talos Festival di Ruvo di Puglia. Come spesso gli capitava, ha con sé un DAT e lo tiene sotto il pianoforte durante l'esibizione. Il suono catturato non è perfetto, le dinamiche sono in parte innaturali e vengono raccolti anche i rumori del seggiolino e alcune folate di vento, ma non importa: anche dalla registrazione si coglie benissimo cosa abbia fatto sì che i presenti, tra i quali Pino Minafra, abbiano parlato di un concerto che lasciava sbigottiti e faceva pensare a un testamento. 

Oggi la potenza espressiva e l'urgenza comunicativa che animavano quel giorno il pianista possono essere ascoltate nel CD A Few Steps Beyond, edito proprio dall'etichetta Amirani Records dell'amico Gianni Mimmo, che riprende quella registrazione, in parte "ripulita." Già il programma è molto significativo, con tre dei principali ispiratori di ambito jazzistico di Lenoci che ospitano due standard. Sei brani, di lunghezza assai variabile—dai poco più di quattro minuti della conclusiva "Latin Genetics" agli oltre sedici di "Ida Lupino"—nel corso dei quali il pianista esplora molteplici territori, mutando scenario più e più volte in ciascuno, con coerenza stringente, senza mai abbandonare un discorso narrativo e neppure una sua forma di lirismo. 

L'apertura spetta a Ornette, con una "Lorraine" che, dopo l'incipit, prende subito una forma classica e un incedere improvvisativo etereo, evocativo, con le note alte che procedono libere, di variazione in variazione, sull'intenso tambureggiare della mano sinistra. La eco che allarga lo spettro dei bassi, dovuta alla registrazione "di fortuna," paradossalmente ne aumenta il fascino. "Blues Waltz," di Paul Bley, gioca con il blues usando stilemi del pianista canadese, come le cascate di note alte che la attraversano o la chiusa interiorizzata, ma anche alternandovi colori diversi, divagando, inserendo citazioni liriche prese d'altrove. "Ida Lupino," di Carla Bley, ha una stupefacente introduzione ipnotico-ossessiva, si apre poi in una ricerca che culmina in un vertice di note alte e, dopo il tema, dilata gli spazi a dismisura, lasciando ora che i suoni emergano come dal nulla (c'è anche qualche intervento sulle corde, unico momento del concerto di una tecnica che Lenoci usava invece spesso), ora che fioriscano sottotemi e citazioni. 

Ma forse ciò che stupisce di più è il trattamento di due classicissimi standard come "Goodbye" e "All The Things You Are." Il primo è un "semplice," eppure raffinatissimo esercizio di blues, che si spegne come un autentico commiato; il secondo, tutto al contrario, è fin dall'inizio una lettura atipica, anche qui con un pedale ipnotico e tambureggiante che decostruisce il tema arcinoto e, quasi ne sollevasse i lembi per guardare cosa vi turbina sotto, apre la porta su molteplici, inattese visioni—senza tuttavia che si perda mai la percezione di stare dentro proprio quello standard. 

Avant Music News
Daniel barbiero

The subtitle of pianist Gianni Lenoci’s A Few Steps Beyond is The Very Last Concert, which it sadly turned out to have been. Lenoci’s performance took place at the Pinocateca d’Arte Moderna in Ruvo di Puglia on 4 September 2019; on 30 September he died at age 56. Lenoci was called “L’anima jazz della Puglia” but he was also an inspired interpreter of the experimental and open-form compositions of postwar avant-garde art music as shown by, for example, the recordings he made of the music of Morton Feldman, Earle Brown, and Sylvano Bussotti. Both sides of his musical personality—the jazz side and the avant-garde “classical” side—are apparent in the six performances on A Few Steps Beyond, which as luck would have it were captured by the small recorder Lenoci happened to place under the piano.

Lenoci’s inventiveness and capacity to recast preexisting structures as open forms are on full display in his performance of, of all things, the old standard All the Things You Are. It’s no easy thing to make of this overly familiar tune an exciting and unpredictable piece of music, but this he does. Lenoci starts with highly elastic and oblique allusions to the song’s harmonic cycles, which he proceeds to drive into increasingly convoluted and inward-turning musical territory. Just when the tension of anticipation—underscored by the urgent rhythm Lenoci maintains throughout—becomes nearly unbearable, a straight reading of the song breaks through, recognition of which registers as a shock after all that came before. Lenoci’s interpretation of Carla Bley’s Ida Lupino is less radical but still demonstrates his ability to transform standing structures in original ways. Working largely through variations on the basic melody, he moves in and out of form by subjecting that main theme to a kind of Cubist presentation from all perspectives, while maintaining it as the piece’s (deliberately flexible) backbone.

A Few Steps Beyond also contains Lenoci’s interpretations of Ornette Coleman’s Lorraine and Latin Genetics, as well as Paul Bley’s Blues Waltz and–in a bit of unintended irony–Gordon Jenkins’ Goodbye. On these performances no less than on the others, Lenoci’s inspired pianism offers a view into a unique musical sensibility that was all-too-soon gone. We are fortunate to have this final concert as a part of his recorded legacy.

Blow Up
Piercarlo Poggio

I temi affrontati da Lenoci, scomparso il 30 Settembre 2019, meno di un mese dopo queste registrazioni effettuate al Talos Festival di Ruvo di Puglia, sono in generale piuttosto noti.Il pianista riesce a rispettare lo stile e il sentimento degli autori e insieme ad andare non soltanto qualche passo, come indica il titolo dell’album, ma molto oltre. Lorraine e Latin Genetics di Coleman, la standard All The Things You Are, il Blues Waltz di Paul Bley e Ida Lupino della ex consorte Carla assumono nella performance toni e colorazioni inusuali. Sono improvvisazioni lucide e calcolate, frutto di un’esigenza interiore che l’imminenza della fine non aveva smorzato. 

Alias-Il Manifesto
Guido Festinese

Bella la parafrasi di One Step Beyond dei Madness: non più «un», ma «qualche passo avanti». Fin dove è riuscito ad arrivare con le sue falcate decise e visionarie sui tasti Lenoci: lontanissimo. Al Talos Festival del 2019 il suo ultimo concerto, alla Pinacoteca d'arte moderna. Bel finale, in un posto in cui le opere hanno concorso a dialogare e celebrare questa festa del jazz libero e liberato: focus su Ornette, Carla e Paul Bley, un lascito senza prezzo per chi vorrà mettersi in ascolto. 

Vynilmine
ΦΩΝΤΑΣ ΤΡΟΥΣΑΣ/ PHONTAS TROUSSAS

Το 2019, την τελευταία μέρα του Σεπτεμβρίου, έφυγε από τη ζωή ένας σημαντικός πιανίστας και τζαζ-αυτοσχεδιαστής, ο Ιταλός Gianni Lenoci. Ήταν 56 ετών.
Όπως είχαμε γράψει και παλαιότερα εδώ στο δισκορυχείον... ο Lenoci ήταν γνωστός και στην Ελλάδα, αφού είχε συνεργαστεί σε παραστάσεις και στη δισκογραφία με τον Σάκη Παπαδημητρίου και την Γεωργία Συλλαίου (άκου, ας πούμε, το άλμπουμ “Nosferatu a Monopoli” από το 2005), ενώ είχε βρεθεί στο ίδιο πάλκο και με την ελληνική Plus’ n’ Minus Collective Orchestra στο πλαίσιο των 49ων Δημητρίων, στη Θεσσαλονίκη, το 2014.
Αν αυτές ήταν οι ελληνικές διασυνδέσεις του, σκεφθείτε τι γινόταν στην Ιταλία και ευρύτερα. Έτσι, ας θυμίσουμε μερικά μόνον άλμπουμ τού Lenoci ή με τον Lenoci, για τα οποία υπάρχουν reviews στο blog. Λέμε, λοιπόν, για τα: 1. “The Whole Thing” [Amirani, 2020], τη συνεργασία του δηλαδή με τον πνευστό Gianni Mimmo, 2. “Earle Brown / Selected Works for Piano and/or Sound-Producing Media” [Amirani Contemporary, 2018], CD στο οποίον ο ιταλός πιανίστας απέδιδε συνθέσεις τού Αμερικανού Earle Brown, 3. “Wet Cats” [Amirani, 2017], μια συνεργασία του Lenoci με τον ντράμερ Francesco Cusa, 4. “Glance and Many Avenues” [Amirani, 2015] των Reciprocal Uncles / Ove Volquartz (Reciprocal Uncles ήταν ο σοπρανίστας Gianni Mimmo, ο πιανίστας Gianni Lenoci και ο ντράμερ Cristiano Calcagnile), 5. “Morton Feldman: for Bunita Marcus (1985)” [Amirani Contemporary/ Teriyaki, 2013], με τον Lenoci να παίζει στο πιάνο του συνθέσεις τού Morton Feldman, συν 6. το πρώτο φερώνυμο άλμπουμ των Reciprocal Uncles (GianniLenoci & Gianni Mimmo – δίχως ντράμερ δηλαδή) ηχογραφημένο τον Μάιο του 2009.

Μέσα σ’ αυτή την δισκογραφία του Gianni Lenoci στην Amirani έρχεται να προστεθεί και τούτο το CD, που τιτλοφορείται “A FewSteps Beyond” (2021) και που καταγράφει τον πολύ σπουδαίο και πρόωρα χαμένο ιταλό πιανίστα σε μια piano-solo παράστασή του, στο Talos Festival, στην Pinacoteca d’Arte Moderna, στην Ruvo di Puglia, στις 4 Σεπτεμβρίου 2019 – 26 μόλις μέρες πριν ο Lenociφύγει από την ζωή.
Το υλικό που ακούμε εδώ αφορά όλο σε διασκευές, κάτι που σημαίνει πως σ’ αυτήν την τελευταία, όπως δυστυχώς απεδείχθη, δισκογραφημένη παράσταση τής ζωής του, ο Lenoci ήθελε να στείλει ένα γενικότερο μήνυμα, όσον αφορά στο πώς σκεπτόταν ο ίδιος για την jazz και τον αυτοσχεδιασμό, τοποθετώντας σ’ ένα πρώτο ύψος όλους εκείνους που τον «έφτιαξαν» μέσα στα χρόνια, ως μουσικό, χωρίς βεβαίως να υποτιμά την δική του παρουσία, τον δικό του αγώνα να καταξιωθεί στους φίλους της μουσικής, μέσα από τις ιδιοσυγκρασιακές προσεγγίσεις του, σ’ ένα υλικό, που δεν ήταν πάντα πιανιστικό, μετατρέποντάς το σε τέτοιο ο ίδιος, με τα έξοχα και πέραν από κατατάξεις παιξίματά του.
Τι ακούγεται λοιπόν εδώ; Σημειώνουμε: 1. “Lorraine” (Ornette Coleman), 2. “All the things you are” (Jerome Kern – στάνταρντ), 3. “Blues waltz” (Paul Bley), 4. “Ida Lupino” (Carla Bley), 5. “Goodbye” (Gordon Jenkins – στάνταρντ) και 6. “Latin genetics” (Ornette Coleman).
Δύο συνθέσεις του Coleman, δύο του ζεύγους Bley και δύο στάνταρντ. Αυτό είναι το ρεπερτόριο, τόσο λιτό, μα και τόσο καταφανές και προφανές, όσον αφορά στην διαχρονική πορεία της jazz ανά τις δεκαετίες.
Κομμάτια που μας ταξιδεύουν βαθιά στο χρόνο, στην παράδοση (ας ορίσουμε έτσι τα thirties), φέρνοντάς μας, σταδιακώς, εντός του κυκεώνα της πρωτοπορίας και των νέων πιανιστικών νοηματοδοτήσεων (σε σχέση με την ατονικότητα, την σύγχρονη κλασική, την free jazz και την improv music), μέσα από μια προσέγγιση πάντα λυρική και συναισθηματική – ίδιον των μεγάλων πιανιστών, που έχουν εξερευνήσει τα βάθη της μουσικής, καταλήγοντας, κάποια στιγμή, σε μια performance, που στόχο έχει όχι μόνον την καταγραφή της προσωπικής άποψης, μα και την καλλιτεχνική αγωγή τού κοινού, που κρέμεται από τα χέρια του πιανίστα, ξεσπώντας, ανά διαστήματα, με κραυγές, επευφημίες και χειροκροτήματα.
Percorsi Musicali
Ettore Garzia

…per sua definizione ontologica, l’improvvisazione musicale informa ogni aspetto della musica che viene creata durante una performance. Sia essa l’interpretazione di un testo sia composizione istantanea. Ciò può includere sottili cambiamenti nel tempo o nella dinamica, ornamentazioni, rubato, articolazione e fraseggio, bilanciamento delle dinamiche e molto altro ancora...” (Gianni Lenoci, Alchimia dell’istante, Auditorium, 2020, pag. 51).

Chi ha ascoltato Gianni in concerto può ben immaginare la varietà di elementi da lui richiamati per l’interpretazione e soprattutto la sua idiosincrasia verso coloro che molto sbrigativamente sistemavano la questione degli standards; quella pianificazione mai doma perché suscettibile di ulteriori variazioni, qualcosa che veniva determinata anche dal momento e dalle condizioni acustiche della performance, viveva sui contorni di una instabile attività improvvisativa sviluppata sede per sede. Sugli standards jazz Gianni ti faceva capire che era possibile costruire un discorso autentico, partendo da cellule melodiche pian piano disintegrate in un lavoro sensitivo ed energico sulla tastiera e molto spesso effettuato negli interni del piano: la mia sensazione è che Gianni possedesse la contezza sonora dell’ambiente in cui si esibiva (fosse una chiesa, un teatro o un chiostro antico), una sorta di orecchio alle spalle in grado di verificare il luogo dell’esibizione e le temperature d’eccitazione emotiva dei presenti. Ed era anche spiazzante poiché persino le orecchie “fini” tra i convenuti di un suo concerto, non erano in grado di riportare similitudini istantanee ad altri pianisti, anche al termine dell’esibizione: quando non doveva concentrarsi sulla materia esecutiva e su un ambito improvvisativo più ristretto dalla composizione, Gianni percorreva la storia del pianismo classico, jazz ed avanguardistico con una facilità di sintesi impressionante; in lui non si compiva nessuna lezione di stile, difficilmente si potevano trovare intervalli o blocchi sonori in grado di stabilire un percorso solo a lui imputabile, ma si intravedevano parvenze, rimandi, in una situazione pianistica in cui passavano in rassegna o si coagulavano schegge di interi periodi della nostra storia musicale. Si potrebbe parlare per lui di “stile variabile”. Per Gianni era super importante il requisito dell’autenticità, suonare come parlare, mettere in moto una discussione verbale per la quale non abbiamo bisogno di preparazioni perché l’abbiamo introitata dentro di noi alla perfezione. Non escludeva nulla e nessun concerto era uguale ad un altro.

A Few Steps Beyond è un’altra splendida testimonianza che proviene dal Talos Festival del 2019, l’ultimo concerto pubblico che Gianni tenne alla Pinacoteca d’Arte Moderna a Ruvo di Puglia e che riporta un set di improvvisazione imbastito su temi celebri del jazz; nella sua estesa discografia, le poche registrazioni in solo (7 compreso questo concerto al Talos) reagiscono quasi sempre ad impulsi compositivi conosciuti, su cui Gianni ha impostato le sue rielaborazioni: è d’obbligo sentire come ha fornito le migliori interpretazioni di sempre su alcuni lavori di Earle Brown (compositore che è stato oggetto anche di un temerario abbinamento con Bach, di cui non c’è però traccia discografica), come ha presentato una delle versioni più accattivanti di For Bonita Marcus di Feldman e riproposto Cage con il proprio punto di vista (gli americani della New York School erano i più autentici esempi compositivi per lui), come ha lavorato sulle infiltrazioni melodiche per spiegare la sua versione di Lacy (Agenda) o ha sviscerato una fase del suo inconscio sulla base degli spunti di un trio con Carter e Elgart in Backward dreams; e per me, il suo ricordo più bello, è Ephemeral Rhizome, uno scrigno di musica imperdibile di Gianni inciso alla Evil Rabbit, l’etichetta del pianista olandese Albert van Veenendaal, un cd che ricevetti dalle sue mani direttamente in un nostro incontro (mentre me lo porgeva mi disse “...Ettore, questo lavoro è proprio buono!…“); quel giorno si doleva anche del fatto che quel cd avesse avuto poco riscontro e la ragione forse era il fatto di una minore spendibilità commerciale, ma lì c’è davvero uno dei massimi passionali e della sperimentazione pianistica di Gianni.
A Few Steps Beyond è espressione del Lenoci vicino al jazz e alla materia degli standards, direzionalità musicale che fa comprendere piuttosto bene il concetto di “infiltrazione”, ossia la divisione/diluizione del tema nel processo improvvisativo: nell’iniziale Lorraine (il pezzo di Ornette Coleman), Gianni parte con le armonie “macchiate” nel solco di Waldron, per poi snocciolare note alla stregua di un pianista contemporaneo, con la fantasia che sale di velocità mentre nel durante appaiono ogni tanto fantasmi della melodia di Ornette; All the things you are, lo standard di Kern, è già modificato all’origine da uno sfasamento di battute creato ad hoc, ma lo sviluppo poi si apre a mondi sonori obliqui, con la mano destra che pulsa continuamente su un accordo e la sinistra che non ha pace; in Blues Waltz di Paul Bley, il caratteristico stato d’animo del blues si scioglie letteralmente al quarto minuto per dar luogo ad una ruminazione tayloriana; Ida Lupino di Carla Bley si carica di tensione, le mani di Gianni coprono anche l’atto dello sventaglio e la melodia riappare frazionata in pulviscoli sonori e quando siamo al finale, si capisce che la propensione melodica di Latin Genetics, memoria del Prime Time di Coleman, trova una immediata e nuova definizione grazie a lui, dandoci la sensazione di una macchina musicale che va veloce in salita, con scale adeguate sul pianoforte.
Nelle note di copertina Gianni Mimmo ha sottolineato un atteggiamento meraviglioso di Gianni Lenoci: “…una delle costanti dell’estetica di Gianni è costituita dalla straordinaria attitudine ad esercitare contemporaneamente sguardo globale e particolare, a trovare una possibilità di coesistenza fra piani sonori lontani…“; sulla base di questa affermazione mi chiedo che cosa stesse cercando Gianni in questa giusta ed incredibile connessione e non posso fare a meno di pensare ai grandi pianisti jazz del Novecento, a quelli più “avventati” e disponibili ad una proiezione totale dei loro principi nell’ambito dei processi improvvisativi, soprattutto in funzione di una nuova configurazione della “memoria” musicale. E’ su questo aspetto che Gianni stava probabilmente riflettendo, qualcosa in cui le dimensioni si confondono e riemergono, sensazioni in grado di portarci tutti “a few steps beyond!”.

The New Noise
Francesco Cusa

Che la vita espressiva musicale di Gianni Lenoci potesse ancora regalarci il dettaglio prezioso del suo ultimo concerto dal vivo, lo interpreto personalmente come un segnale mistico. Il magnetismo che regola la dialettica sofferta e sublime di questo concerto pare diluirsi nel vuoto infinito determinato dalla sua assenza. Rimane la musica e poi il contrasto difficilmente sostenibile tra la prorompenza fisica del suo pianismo e la drammaturgia del suo silenzio. Eppure, dall’ascolto di A Few Steps Beyond, a me sembra di rivedere le sue sembianze, e quasi mi riappare la sua figura liquida, evocata sonoramente da quell’inconfondibile suo modo di approcciare lo strumento, dal simbolismo tattile delle escursioni fuori dalla tastiera in “Ida Lupino”, da quella peculiare maniera di deframmentare gli standard e di reificarne lo spirito originario (un anelito volto a scardinare l’episteme, la memoria storica del jazz dal suo stesso asse).

Gianni Lenoci reinventa lo standard e lo fa seguendo un processo inverso rispetto alla bulimia performativa del jazz odierno, sovente tesa a sfruttare le griglie del canovaccio come pretesto per pantagrueliche avventure solistiche. Con Gianni Lenoci le composizioni di Ornette Coleman, Paul Bley e Jerome Kern vengono ricondotte alle radici del presente, rianimate e immesse nel fluido vitale intimo del jazz, dopo un lavoro di scavo che conduce all’essenza dell’Incomunicabile, alla singolarità che rende ogni composizione unica e indecifrabile.

Pochi pianisti hanno la capacità di presentare e al contempo tenere insieme tutti gli elementi messi in scena in un concerto improvvisato di piano solo, di annunciarli per poi farli progredire nel continuum della performance. Gianni Lenoci riusciva a farlo con naturalezza, forte di una conoscenza enciclopedica della storia della musica e di un approccio scientifico allo strumento che ben si amalgamava con l’habitat dei suoi numerosi demoni, con la sua sfera ctonia e profana che pure era parte integrante del suo essere.

“Goodbye” di Gordon Jenkins è il suo ideale saluto al mondo dei mortali, quasi un atto di divinazione tramite l’ascolto che schiude porte mai profanate, e fa dispiegare le ali della percezione verso altre regioni del Bello.

Yoko Miura, pianist. Fukuoka, Japan, Feb. 2021

I felt calm and strong energy which makes rise the essence from inside of each piece, and I felt his deep and elegant smile as a reverberation after listening to this CD.

This album is like a great poetry.

Music Zoom
Vittorio

È un incisione commovente, per le atmosfere che le magiche dita di Gianni Lenoci evocano al pianoforte. Si tratta del suo ultimo concerto, tenuto al Talos Festival a Ruvo di Puglia nel Settembre del 2019, registrato con un apparecchio sotto il pianoforte, cosí che viene fuori un suono delicato, intimo, alle prese con due composizioni di Ornette Coleman che aprono e chiudono il concerto, due standard ed una composizione a testa per Paul Bley e Carla Bley. Come sempre Lenoci reinventa queste composizioni a tirarne fuori momenti emozionanti in esecuzioni che procedono lentamente, quasi un distillato di note che arrivano al cuore degli ascoltatori. È un commiato che l’Amirani Records di Gianni Mimmo rende pubblico, da ascoltare tutto di un fiato, coerente e prezioso mentre scorre nota dopo nota per salutare tutti un’ultima volta con la magia della sua musica.

Credits: 

Gianni Lenoci: piano

Live concert at TALOS FESTIVAL, 2019 September the 4th, Pinacoteca D’Arte Moderna, Ruvo di Puglia, Italy -
[Self] Recording: Gianni Lenoci
Editing and mastering: Maurizio Giannotti, New Mastering Studio, Milano, Italy
Cover Photo: Agua Mimmo
Inside Photo: Norontako Bagus Kentus
Label Photo: Giuliano Di Cesare
Liner Note: Gianni Mimmo
Translation: Roseanne Rogosin
Graphics: Nicola Guazzaloca
Production: Associazione Culturale “Gianni Lenoci” and Gianni Mimmo for Amirani Records