Morton Feldman

September, 2013
AMRN036-02C
CD Digipack
Price: 
12.50
Gianni Lenoci

“Imprisoned in every fat man a thin one is wildly signaling to be let out.”
Cyril Connolly

Morton Feldman (1926-87) was huge – huge in size, about six feet tall, close to 300 pounds; huge in spirit; huge in appetite for food, women, aesthetic experience (in addition to music: paintings, books and, later, Oriental rugs); huge in energy that produced a torrent of musical compositions and words, spoken and written.

He seemed “larger than life,” an exaggeration of humanity, as if a literary invention like Gargantua or Falstaff, and yet, as in the Connolly epigraph, the custodian of an inner thin man who, when “let out”, expressed a professional elegance that could only have been achieved in something like solitary confinement. […]

From  the introduction by B.H. Friedman to “Give My Regards To Eight Street”,
Collected Wrtings of Morton Feldman, Exact Change, Cambridge, 2000.

Reviews

The New Noise
Francesco Cusa

Non ho mai sopportato le analisi tecnico-formali di un’opera, men che meno quelle relative a un’opera musicale. Fissarne i punti, sceverarne e sezionarne le parti, mi è sempre parso un atto chirurgico da tavolo anatomico rispetto a ciò che è viceversa sempre vivo e pulsante. Per l’uomo antico smembrare gli arti di un animale rappresentava un atto sacrilego, orribile ed empio che occorreva sublimare tramite l’iniziazione funzionale al sacrificio (anche il normale pasto era considerato sacrale). Ciò lo debbo ancora di più alla memoria di Gianni Lenoci che del processo esoterico in arte era cantore.

Questo mio scritto sarà dunque una sorta di processo affine a quello della “scrittura automatica” (non letteralmente, in senso surrealistico: utilizzo questa definizione di comodo per indicare che è un processo determinato dalle musiche in ascolto) e seguirà il flusso sonoro di tre cd che vedono Gianni Lenoci al piano in solo: Earl Brown “Select Works for Piano and/or Sound Producting Media”, Morton Feldman “For Bunita Marcus”, Sylvano Bussotti: “Brutto, Ignudo” (qui in duo col clarinettista Rocco Parisi), tutti editi dalla Amirani Records di Gianni Mimmo.

Procedo con l’ascolto e la scrittura.

Ascolto questi lavori di Gianni Lenoci in ordine sparso, non sistematico. Salto da un cd all’altro per cercare di cogliere impreparato me stesso, in modo da non lasciar sedimentare lo svolgimento “logico” della fruizione. Emergono vari elementi dal suo ricercato pianismo; uno su tutti, l’inconfondibile matrice del suo suono, figlia di quel tocco da “ladro di portafogli” che lo contraddistingueva, rapidissimo e limpido. Il piano pare essere suonato da mani elfiche, e produce un suono che non “libera” ma tiene avvinti al disegno di un gesto che possiamo intuire anche solo dall’ascolto. A suonare è un mancato danzatore (si ascolti la sua interpretazione della “Novelletta Per Pianoforte” di Bussotti); altrove ho definito Gianni Lenoci un coreografo stanco di danzare, ma che si attivava all’improvviso tramite i suoi scatti espressivi che rimandavano a una sorta di elettricità dello spasmo che tante volte ho anche ritrovato durante i nostri concerti. La “riscrittura” delle partiture suonate nei cd rende fruibile tutta l’originalità dell’arte di Lenoci, come evidenziato dalle stesse note di copertina di quello sulla musica di Earl Brown da parte di Augusto Ponzio: “… si può dire tutto quello che abbiamo detto fin qui (…) con la musica stessa, con la scrittura musicale stessa, come riscrittura che sia, di nuovo questa musica, inedita, inaudita, nuova partitura all’ascolto coinvolgente fuori dai ruoli stabiliti e dai luoghi comuni? Sì, con Gianni Lenoci”. Ecco, io lo definirei, mentre ascolto nella notte “December” di Earl Brown, un musicista “impossibile”, perché, per queste atmosfere nebbiose e tetre evocate dal pezzo, par di vedere volteggiare le spire dei suoi infiniti arti e delle sue lunghissime mani… le sento avvolgere l’intera volta della mia stanza sotto forma di entità gassosa. Riferisco di una sensazione fisica di questo fenomeno, fortemente tangibile, richiamata dal potere esoterico ed evocativo della musica, della “sua” musica, che si fa spazio, suadenza e trillo demoniaco, a seconda delle necessità del tempo e degli istanti irripetibili che compongono l’esistenza.

Il pianismo di Gianni Lenoci è “interno” che si fa “esterno”, immanenza che riempie ciò che non è colmabile (ascolto “Twenty-Five Pages”), vuoto che s’addensa nel gioco di prestigio delle falangi, “ontologia del martelletto”. Egli usa l’intero spettro delle potenzialità esperibili dello strumento per affermare una “verità”, officiando, per tramite del gesto pianistico, il sacrificio di ogni singola nota. Nell’atto del suonare, Lenoci viene meno al decoro della sua forma: dismette allegoricamente il suo abito sociale per trasformare la sua fisicità terrena in pura essenza (ascolto ancora una volta “December”), in altre parole, egli diventa sacerdote del Divino e sposa appieno la sua natura spirituale, conferendo sacralità al “mestiere” dell’artista.

È facile, anche per un orecchio profano che abbia la ventura di accostarsi a queste interpretazioni dell’opera dei tre compositori su citati, constatare quanto il microcosmo di Lenoci sia espressione di una trascendenza prodotta artificialmente dalla matericità dell’esistenza, perché ogni rimando è all’altrove, a ciò che non è esprimibile con gli strumenti della tecnica (ascolto Music for “Trio for Five Dancers”). E sembra di vederli questi danzatori sonori, come forme eteriche e viventi che provvedono a modellare in qualità di piccoli kabiri la Donna-Cicogna che “l’Eumolpo” Lenoci evoca tramite il suo processo di indefessa creazione. Queste proprietà del demiurgo sono raramente presenti in tali dosi nella singola esistenza di un’artista. Intendo far con ciò riferimento alla densità che era in grado di generare la poetica espressiva di Lenoci, densità particolarmente riscontrabile in queste tre opere e che è frutto del suo approccio diretto allo strumento, che risultava magnetico, ma mai ossessivo (Lenoci non deve domare la belva-pianoforte, perché essa è promanazione del suo corpo, vive e si nutre della sue stesse brame e passioni).

Ma è soprattutto con “For Bunita Marcus” che sento emergere la sideralità del Tremendo come scarto e quintessenza di vibrazione, proprio nei silenzi, nelle pause fra una nota e l’altra, in ciò che rimane dopo un accordo, in tutto ciò che preme e deborda fuori dalla palingenesi del suono. Le note di Gianni Lenoci descrivono un universo possibile e antropomorfo in un contesto alieno, inconcepibile e astratto. Si impone, in questa sua capacità di reinterpretazione-traduzione delle opere trattate, il superamento del contesto storico e progettuale in cui tali componimenti sono storicamente collocati. Lenoci reinventa quelle partiture, sottraendole perfino ai riferimenti all’arte visiva d’un Rothko e ai suoi “aneliti d’infinito”, a tutto ciò che rappresenta quel circolo di musicisti che si formò intorno a John Cage verso la fine degli anni Quaranta (Earle Brown, Morton Feldman, David Tudor e Christian Wolff), all’astrattismo… per farne altro, una specie di sostanza sonora straniante che ci parla di quanto effimero sia questo ritaglio di non-Tutto dal Tutto. Il mondo sonoro che ci lascia Gianni Lenoci è quello di un pianeta che si è oramai dissolto nella sua essenza gassosa dopo milioni e milioni di anni. Un luogo dove altre entità lavorano per costruire un nuovo senso, la nuova era di Vulcano, era in cui l’uomo sarà soltanto pura essenza di sacralità.

(Gianni Lenoci non c’è più… si aprono gli spazi del sonoro di “For Bonita Marcus” al suo percorso spirituale che lo porterà verso i più alti mondi dello Spirito. Spengo il lettore cd).

Le son du grisly
Guillaime Belhomme

Chaque nouvelle exécution de For Bunita Marcus en dit davantage sur son interprète que sur son compositeur, Morton Feldman. Alors, pour Lenoci ? Sur un écho léger, son profil appraît : musicien pressé, et nerveux. Derrière les accélérations qu’il commande et les relâchements auxquelles l’oblige l’œuvre, on trouve davantage de mise en scène et moins de distance poétique. A l’auditeur – troisième pièce du puzzle For Bunita Marcus– de dire maintenant si cette version plus « théâtrale » lui convient.

L’étrange affaire de For Bunita Marcus est que chacune de ses lectures – sa récitation est impossible – révèle davantage de son interprète que de la musique même de Morton Feldman. Les interprètes du jour : Gianni Lenoci et Lenio Liatsou, pianiste (anagramme ?) dont c’est là le premier disque… 

Avec Lenoci, c’est une progression sans détours, un peu pressée dans ses débuts, toujours nerveuse ensuite. L’écho qui soutient le piano arrondit un peu les angles mais ne peut gommer toute la tension communiquée, par exemple, à une touche pourtant à peine effleurée. Quand les graves font surface, la dramaturgie gagne l’interprétation : alors, ce n’est plus le profil de Bunita Marcus dont on se souvient avec élégance, mais une partition impérieuse étrangement mise en lumière. 

Avec Liatsou, c’est une partition avec laquelle on prend plus de libertés, certes, mais une autre sécheresse jouant l’indolence. Dans ce paquet de notes qui, tout à coup, chute, on retiendra les dernières à qui l’extinction va comme un gant. Flottant davantage que la précédente, cette lecture renverse le propos de Feldman, en troisième face : sont-ce maintenant des grilles d’accords et même une mélodie en désintégration ? La dramaturgie pour Lenoci, la désobéissance pour Liatsou ? L’étrange affaire de For Bunita Marcus est que chacune de ses lectures révèle davantage de son interprète que de la musique même de Morton Feldman.

Rivista Musica
Luca Segala

È indicativo che ad affrontare questa lunga pagina dell’americano Morton Feldman - oltre un’ora di musica senza soluzione di continuità - sia un pianista e compositore attivo nell’ambito del jazz, dell’improvvisazione e della musica elettronica che in quello del repertorio classico-romantico.

L’estetica di Feldman supera la dimensione narrativa della musica cosiddetta classica, alla base della quale ci sono dei temi che vengono sviluppati nel tempo secondo una logica costruttiva di tipo architettonico, cercando piuttosto le sue radici in una concezione del tempo più orientale che occidentale.

L’etichetta di Minimalismo sembrerebbe molto comoda per For Bunita Marcus, del 1985, eppure qui siamo lontani dalla provocatoria semplicità di John Cage, dalle ipnotiche e bianchissime ripetizioni di Philip Glass come dalla consolatoria piacevolezza del Minimalismo da colonna sonora, alla Yann Tiersen per intenderci. In For Bunita Marcus si avverte piuttosto lo stupore di fronte alla pura bellezza del suono, libero di manifestarsi in tutta la sua lentezza ipnotica e sospesa.

Gianni Lenoci riesce a rendere con estrema naturalezza lo straniamento percettivo di un movimento talmente rallentato da annullare se stesso. Si immerge senza compromessi in un mondo il cui tempo sembra sfuggire alle leggi normali, dove eventi, ripetizioni, minime variazioni e trasformazioni avvengono, per così dire, in assenza di gravità.

Freejazz-stef.blogspot.com
Stef Gjissels

We've reviewed Italian pianist Gianni Lenoci several times before on this blog, but then always in a more jazz setting, with William Parker on "Serving An Evolving Humanity", with Gianni Mimmo on "Reciprocal Uncles", on "Empty Chair" with his own quartet.

This album is entirely different, as he plays Morton Feldman's second of his three last works for piano. This one called "For Bunita Marcus", who herself is a contemporary composer and student of Feldman.

The music itself is mesmerising, with little clusters of three or four notes played in a slow series, with silence in between. It is repetitive without being the same, resulting in a feeling of hesitation, of somebody cautiously moving forward on tiptoe, of wonder too, of beauty, of calm certainty. Paradoxically so. The music is so fragile that any change, however, minimal, generates attention. The beauty of small changes.

The entire composition lasts more than one hour, and its quiet minimalism is maintained throughout. As a listener, you have to give in. You have to surrender and become part of the music. That's the only way you can listen to it.

The music has been released before, seven times even, by amongst others, Markus Hinterhaüser, by Hildegard Kleeb, and also on John Tilbury's "All Piano". Not having listened to these albums, I am not sure how much Lenoci's album adds to this, or even differs from it, but it is worth looking for.

Kathodik
Marco Carcasi

Seconda preziosa uscita, per la serie Contemporary di Amirani.

Che dopo aver affrontato la scrittura di Sylvano Bussotti, si focalizza ora su Morton Feldman.

“For Bunita Marcus” (del 1985, due anni prima della morte), è una delle sue opere più celebri.

Ad eseguirla, un concentratissimo Gianni Lenoci (primo pianista italiano, a lasciar traccia edita della propria interpretazione).

Il fruscio di un torrente, il sussurro di un gigante, un gesto essenziale (tutt'altro che gracile).

Il suono di un corpo a riposo, ben oltre il concetto di immobilità.

L'espansione di un fermo immagine, il collasso di un perimetro sfocato.

Minimalismo ciclico, silenzi ed azzardi.

Questa, è luce.

Non lasciatevi distrarre.

Il Tirreno

Morton Feldman è stato uno dei compositori più importanti del Novecento, tra coloro che cercarono di portare la musica al di fuori delle ferree regole per tentare un'avventura originale ed innovativa. Influenzato da John Cage, non fu un vero minimalista, ma un artista tutto sommato unico. "For Bunita Marcus", scritta nel 1985, è una delle sue ultime opere prime della scomparsa ed è anche una delle più apprezzate. Per la prima volta viene messa su cd - pubblicato da Amirani - l'interpretazione che ne dà un pianista italiano, Gianni Lenoci, che per l'occasione mette da parte l'indole d'improvvisatore per un'esecuzione per nulla facile. Una lunga composizione inesorabile, col suo lento incedere, alla conquista dell'ascoltatore.

Diskoryxeion
Ponthas Trussas

Ο GianniLenoci(γενν. το 1963) είναι ένας από τους πιο αξιοσέβαστους jazz/ avantπιανίστες της ιταλικής σκηνής. Έχει συνεργαστεί σε liveκαι στην δισκογραφία με δεκάδες μουσικούς (SteveLacy, EnricoRava, PaulLovens, JohnTchicai, DavidMurray,EvanParker…) ανάμεσά τους δε και με τους Σάκη Παπαδημητρίου-Γεωργία Συλλαίου (π.χ. στο άλμπουμ “Nosferatu A Monopoli”, που τυπώθηκε για την εταιρεία Anakrousis το 2005). Ένα από τα πιο πρόσφατα άλμπουμ τού Lenoci έχει τίτλο “MortonFeldman: forBunitaMarcus (1985)” [AmiraniContemporary/ TeriyakiAMRN035/ 02-C/ TRK 06] και δεν είναι άλλο από την απόπειρά του να ερμηνεύσει (ηχογράφηση από τον Απρίλιο του 2011 στην πόληMonopoli) ένα από τα πιο διάσημα τελευταία έργα του διακεκριμένου αμερικανού συνθέτη της πρωτοπορίαςMortonFeldman (1926-1987). 

Το “ForBunitaMarcus” είναι συντεθιμένο το 1985 και είναι αφιερωμένο στην Bunita Marcus (γενν. το 1952) συνθέτιδα, μαθήτρια και συνεργάτιδα του Feldman. Στο ένθετο του CDυπάρχουν δύο κείμενα, ένα της Marcus κι ένα του μουσικολόγουMarcoLenzi, που αναφέρονται στο έργο, την ιστορία και τα χαρακτηριστικά του. Η Marcusσημειώνει πως το έργο το άκουσε για πρώτη φορά ερμηνευμένο από την AkiTakahashi και πως αντιλήφθηκε από την αρχή, γιατί, για ποιο λόγο, το αφιέρωσε σ’ εκείνην ο Feldman· ταίριαζε, όπως η ίδια λέει, με την πιανιστική ιδιοσυγκρασία της. Επρόκειτο για μία εκτεταμένη στο χρόνο σύνθεση (η διάρκειά της ήταν γύρω στα 67 λεπτά), επίμονη στην ανάπτυξή της και απαιτητική στη σύλληψή της, που ανταποκρινόταν στις καλλιτεχνικές ανησυχίες της. Ο Lenzi, από τη μεριά του, σημειώνει πως το έργο χαρακτηρίζεται κυρίως απόclustersτριών ή τεσσάρων νοτών παιγμένα σε αργό τέμπο, από αλληλουχίες πιο σύνθετων φορμών, που επαναλαμβάνονται σταθερά με minimalρυθμικές εναλλαγές, και από αριστερά-δεξιάarpeggiosσε εναλλαγή. Η ουσία είναι μία. Το “ForBunitaMarcus” είναι επιβλητικό και σε καθηλώνει, χωρίς να διαθέτει κανένα από εκείνα τα στοιχεία που θα χαρακτηρίζονταν «εντυπωσιακά». Αυτή είναι η δύναμή του. Μία απλή στη βάση της, αλλά με εσωτερικό παλμό, σύνθεση, που μπορεί να κυριαρχεί επί του χρόνου, και βεβαίως μιας σταθερής ή περίπου σταθερής μετρονόμησης που συντελεί, και αυτή, προς ένα εκστατικό συνεχές. Ο Lenociεξασκημένος προφανώς στα «δύσκολα» και αναμετρούμενος όχι μόνο με το πιανιστικό έργο, αλλά και με τον εαυτό του, ανταποκρίνεται στo μυστικιστικό περιεχόμενο τού “ForBunitaMarcus”, προσφέροντας μιαν ερμηνεία λιτή και ουσιαστική, κοντά, ή μάλλον «πάνω», στις πρωτότυπες συνθετικές απαιτήσεις.

Il Manifesto
Girolamo De Simone

Superba prova pianistica di Gianni Lenoci, all’insegna dei tracciati di Deleuze in For Bunita Marcus (Amirani 035). 

Molteplicità e interdipendenza copsirano in direzione di una “armonia” di nuovo concetto, frutto di no sviluppo della nozione di rizoma.

Il disco sta sul piatto con una eccezionale levità, nonostante la compressità scritturale di Feldman, cosa che riesce davvero a pochi altri (Cheap Imitation di Cage).

Westzeit
Karsten Zimalla

Die amerikanische Komponistin Bunita Marcus studierte bei Feldman und galt in den letzten 10 Jahren vor seinem frühem Tod als "Mortys" engste Vertraute. Und so widmete er ihr denn auch sein (für mich) schönstes Stück, diese 5 Viertelstunden Klaviermusik zwischen Konzentration und meditativer Übung, zwischen konkreter Kunst und Transzendenz. Dabei gilt auch hier - wie immer und überall - die alte Devise "Misstraue der Idylle". Denn nur oberflächlich gleichen sich die spärlich gesetzten Töne in ihren Folgen und Vertauschungen, immer lauert hinter der halbromantischen Geste die neuzeitliche Brechung. Der auf dieser CD zu hörende Pianist Gianni Lenoci ist (auch) in Sachen Improvisierter Musik unterwegs (er spielte u.a. mit Steve Lacy und Evan Parker), vielleicht erklärt das den etwas brachialen Klangeindruck. Aber auch wenn Lenocis Interpretation bei mir nicht die epochale Deutung der Schweizerin Hildegard Kleeb von ihrem Sockel stürzt, bleibt diese CD ein unbedingter Tip!

Il Manifesto
Guido Festinese

Gianni Lenoci è un bel nome nel filone creativo del jazz della Penisola, con il segno forte lasciato da suoi maestri, Waldron e Bley.

  1. Morton Feldman/For Bunita Marcus (1985) il pianista pugliese si confronta con un gigante (in tutti i sensi: per dimensioni, per appetiti vitali) della musica del Novecento.

Bunita Marcus è un brano per pianoforte scritto un paio di anni prima della scomaparsa. Poetica dei silenzi e della quiete apparente, fibrillazione di note scelte una ad una e fatte risuonare in rarefazione, quas un criptato percorso misticheggiante, reso da Lenoci con esatta bellezza.

Altremusiche
Michele Coralli

Quale può essere il nucleo concettuale, l'essenza distillata di una composizione per pianoforte così essenziale e rarefatta come "For Bunita Marcus"? Forse un arpeggio, forse un cluster, forse addirittura un intervallo di tono o, se vogliamo arrivare ad asciugare completamente ogni elemento di contorno, possiamo intendere anche una nota sola, una soltanto, posta nel registro acuto del pianoforte. E dire che è là che risiede il nucleo significante di questa composizione del 1985, una delle ultime di Feldman. Ma con una nota non intendiamo un vero e proprio punto di riferimento melodico, e menno organizzativo in senso lato, quanto invece l'ombra di una nuvola armonica che crea un drone immaginario e capovolto, un pulviscolo sonoro che crea l'effetto ipnotico e turbativo, amplificato e reso ancor più risuonante dalle consuete assenze agogiche e dinamiche.

"For Bunita Marcus" è un brano di oltre un'ora, definito dalla sua dedicataria al momento della sua prima esecuzione come "esperienza religiosa", nella quale il pubblico si ritrovò letteralmente in lacrime di fronte a una musica sospesa sopra un gelido senso di vuoto capace di insinuarsi nelle pieghe dell'anima e Lenoci ci dà un ottimo saggio di come tutto questo sia possibile con uno strumento inesauribile come il pianoforte, che anche con Feldman ci ha dischiuso ulteriori nuovi mondi.

Sands Zine

For Bunita Marcus è uno dei brani più conosciuti e amati di Morton Feldman e una delle composizioni per pianoforte più importanti della musica contemporanea. Notturna, meditativa, sonnolenta, dilatata e minimale, con le note che cadono come cristalli di rugiada lasciando ampio spazio ai giochi delle risonanze, For Bunita Marcus, dedicata dal musicista a un’amica e collega compositrice, è una scrittura pienamente rappresentativa delle concezioni feldmaniane o, più precisamente, tardo-feldmaniane (Feldman morì infatti nel 1987, solo due anni dopo aver completato questa composizione).

Questa versione, la prima a essere edita da un marchio italiano, farà felici sia i feldmaniani più accaniti, che non esiteranno nell’affiancarla alle versioni che già posseggono, sia gli appassionati di musica contemporanea che finora si sono lasciati sfuggire le precedenti interpretazioni.

Ma l’impresa di Gianni Lenoci ha dalla sua un motivo in più essendo questa, insieme a quella realizzata da John Tilbury nel 1993, l’unica versione fatta da un pianista proveniente da un ambito non propriamente classico-contemporaneo (la versione del pianista inglese è comunque difficilmente reperibile e chi ce l’ha se la tiene sicuramente stretta). Coloro che già conoscono il Lenoci improvvisatore non dovrebbero quindi avere dubbi. Per gli altri è bene aggiungere che, al fianco di una straordinaria raffinatezza, il tocco del pianista pugliese possiede quel calore umano che non sempre si accompagna con gli strumentisti di tradizione puramente accademica. Questo motivo mi spinge a consigliare il CD anche a coloro che non seguono con costanza e passione l’ambito della musica classica contemporanea.

MusicZoom
Vittorio

La musica del compositore americano Morton Feldman è stata una delle esperienze musicali più interessanti del Novecento. L´incontro con John Cage e la volontà di uscire da quelle che erano le consuetudini della composizione del tempo, lo hanno portato verso partiture dall´aspetto apparentemente minimalista (ma lui si è sempre distaccato da questa corrente musicale), come appunto questa For Bunita Marcus scritta nel 1985, poco prima della sua dipartita ed eseguita dal pianista italiano Gianni Lenoci, a suo agio sia nell´improvvisazione che nella veste di esecutore di partiture di compositori moderni. È una musica dall´aspetto sobrio, ben descritto nel booklet all´interno del CD che riporta una testimonianza di Bunita Marcus che aveva dato l´incarico di scrivere una composizione in cui le sue idee compositive venissero espresse in poco tempo. Negli ultimi anni infatti, le opere di Feldman sono poco attente all´elemento tempo: una sua composizione per quartetto d´archi, String Quartet II dura oltre le sei ore. Le note scorrono lente, isolate una dall´altra, senza intenzione di creare accordi, cluster o qualsivoglia relazione che non sia il succedersi lento e ripetitivo delle stesse, anche dissonanti fra di loro, a creare un´atmosfera che ha qualcosa di mistico, religioso, che trasporta l´ascoltatore in un´altra dimensione. È nell’intenzione del compositore creare questa situazione perchè negli ultimi anni si è interessato ai suoni tranquilli, da lui chiamati quiet sounds. È una musica che illumina su quello che è l´universo compositivo di Feldman, ancora oggi, nel mondo così nevrotico, un´esperienza preziosa.

La Repubblica
Angelo Folletto

Pezzo mitico di Feldman, scritto nell'85 per l'allieva-sodale più affine. Prismatica e millimetrica rotazione timbrica e metrica sul pianoforte: fino a perdere, felicemente, il senso dell'orientamento sonoro e ritmico.

Rockerilla
Massimo Marchini

Dal 1976, anno del loro incontro sino al 1987, anno della morte di Feldman, Morton e Bunita erano inseparabili. Non si trattava tanto del rapporto maestro/allieva ma di un’affinità elettiva e spirituale unica, profonda.

Nel tramonto della sua esistenza (1985) Morton Feldman dedica a Bunita questa lunga composizione per pianoforte dalla lunare bellezza. “Le note non sono la composizione”, diceva Morton. Infatti questa straordinaria partitura è fatta di note e silenzi: poema per legni e mallets, per le corde di questo pianoforte sollecitato dalle poetiche, intense, colte mani di Gianni Lenoci e registrato con sorprendente naturalezza e competenza tanto da rendere perfettamente il senso che, si sa, passa per il significante. Quel klang che nella musica contemporanea assume valenze centrali.

Come in altre composizioni dell’ultimo Feldman, la struttura compositiva si basa sulla circolarità di alcune cellule armoniche e sulla loro risonanza, alternate ad arpeggi su un metronomo lento, attorno ai 65. Detto così sembra una noia e mi ricorda Zappa che diceva che “parlare di musica è come ballare di architettura”. In realtà la musica di questo album è delicatamente selvaggia, notturna, contemplativa, evocativa, straordinariamente moderna, fruibile e ammaliante. La lentezza con la quale vengono dispiegate le note, il corpo musicale, dona alla composizione un aspetto metafisico, catturando l’ascoltatore in una differente percezione temporale. Un disco imperdibile.

Credits: 

Gianni Lenoci _ piano
Recording _ April 26th, 2011 at Eticarte-Wave Ahead Production, Monopoli, Italy
Sound engineer & mastering _ Mimmo Galizia
Liner notes _ Bunita Marcus, Marco Lenzi
Liners translation _ Roseanne Rogosin
G. Lenoci photo _ Niky Tauro
Graphics _ Nicola Guazzaloca
Production _ Gianni Lenoci
Executive production _ Gianni Mimmo for Amirani Records and Teriyaki records